Editnum 1

Se pensate che in tempi di “crisi” la cosa migliore da fare sia aspettare, con le braccia conserte e lo sguardo assente, un nuovo miracolo che venga a risollevarci dal baratro in cui siamo caduti, per favore non continuate a leggere queste pagine.
La crisi è l’ennesima conseguenza di un sistema votato al collasso che ci vuole spaventati e rassegnati, l’ennesimo spettro che ci terrorizza, non il primo e, sicuramente, nemmeno l’ultimo.
Nelle discariche che costituiscono la geografia esaurita di un mondo violentato quotidianamente da un “progresso” ( altra parola magica di fronte a cui tutti si devono inchinare, fino a spezzarsi) che é fatto di morte, sfruttamento, sperimentazioni, distruzioni e “necessarie” ricostruzioni, ci muoviamo ormai da tempo immemorabile, cercando i pezzi di ricambio per ridisegnare un altro modo di vivere.
Così come la ruggine modifica i rifiuti metallici, regalandogli nuova consistenza e sfumature di un colore intenso, la nostra immaginazione interagisce con la realtà e la trasforma.
I racconti che troverete, dal surreale e tenerissimo Licheni, passando per l’incubo claustrofibico di Occhiosbarratofiero, per finire dentro il ventre del corpo legislativo in Gravidanza asociale(ne cito solo alcuni), parlano del nostro presente, sfidandovi a riconoscerlo nelle fasi della sua deformazione.
Una pecorso di segni e disegni che accompagnano la metamorfosi della quotidianità, traslandola in un’altro spazio-tempo(non importa se passato o futuro), proiettandola in un’altra dimensione che è quella del possibile.
Ed é qui, in queste immateriali zone di transito che le nostre utopie trovano un luogo, i nostri desisideri forma e voce, le nostre paure escono allo scoperto, perché dobbiamo farci i conti e, forse, esorcizzarle.
Siamo convinti che la realtà in cui siamo immersi non segua nessun destino ineluttabile, ed é per questo che possiamo prenderne le distanze, per riderci sopra prendendola su serio, per ironizzare sui paradossi che la compongono, per costruirne un’altra, iniziando ad immaginarla, mentre lottiamo contro i mulini a fusione nucleare.
Prima di lasciarvi, volevamo dare spazio ad un manoscritto che abbiamo ritrovato in una vecchia fabbrica, oggi distrutta.
Probabilmente era un’acciaieria, ma non sappiamo dirvelo con certezza, perché adesso è uno dei tanti cumuli di macerie che popolano le nostre periferie e le nostre immaginazioni.

Dispaccio n.0

Noi siamo la generazione dal futuro ucciso.
Bruciato con bombe al fosforo, avvelenato dai gas di scarico, affamato
da una multinazionale, strozzato da una banca, usato come cavia da
un’industria farmaceutica.
Il tempo, insieme al nostro futuro, si e’ fermato a Nagasaki.
In una dimensione strana, chiamata crisi, depressione, congiuntura
negativa, recessione, ci muoviamo con la certezza che le briciole di
futuro rimaste dipendono unicamente da noi stessi. Niente pensione,
niente stato sociale, niente posto fisso. Allo stato sono rimasti solo i
denti da mostrare, e il teatrino della politica di potere appare di
giorno in giorno sempre piu’ lontana dalla realta’.
Ma dopo tutto, il futuro si e’ fermato a Nagasaki e da li’ puo’ ripartire.
Costruiremo gruppi d’acquisto per non mangiare piu’ cibi avvelenati, ci
riprenderemo case, giardini e spazi sociali, impareremo il riciclo e il
riutilizzo dei rifiuti, ci alimenteremo con energie rinnovabili, useremo
l’autogestione come lente per guardare un orizzonte ridisegnato.

Si aprano le danze, inizi la ricostruzione sopra le macerie, i nostri
prossimi passi decideranno il nostro destino.