pentatomoidea

Riscaldamento globale

Quando alla stazione di salto di Pentatomoidea l’anello bianco del nastro si accese di luce e, la schiena dritta e l’addome prominente, il maggiore Acrosternum Hilare apparve sul varco del cunicolo, l’intera truppa si mise sull’attenti e salutò marziale, in testa il tenente Rhaphigaster Nebulosa che, rientrato in madrepatria appena qualche giorno prima, subito gli corse incontro.
– Maggiore, finalmente anche voi a casa! È andato bene il viaggio? – il tenente sgambettava attorno al pluridecorato superiore contemplandone estasiato la magnifica livrea da salto spaziotemporale. – Vi abbiamo fatto preparare una stanza negli alloggi degli ufficiali, se volete rinfrescarvi.
– No, non sono affatto stanco. L’avrete notato anche voi: la corrente è molto scemata, ma il viaggio di ritorno è ancora favorito dal vento propizio. La prima cosa che voglio fare ora, dopo essere stato circondato per tanti mesi soltanto da maschi e barbarie, è sentire odore di femmina, di femmina raffinata –. Pensando alle ore di piacere che lo attendevano, il maggiore avvertì un fremito al bassoventre. – Com’è il traffico oggi in città?
– Che io sappia, nessun problema, signore –. Il tremito alle mandibole tradì la delusione del tenente: sperava di approfittare della compagnia del superiore per raccomandargli un suo lontano parente deciso a far carriera nella nuova colonia.
Acrosternum Hilare non gli fece caso: aveva un incarico da portare a termine, un incarico ben più importante di qualunque riposo e di qualunque spirito di corpo. Da lui, e dalla risposta che avrebbe ricevuto di lì a poco, dipendeva l’avvenire dell’intera impresa. – Bene. Se le correnti sono propizie, in una decina di minuti sarò da Madame. Fatemi la cortesia di preannunciare a Lady Viridula il mio arrivo –. Senza attendere risposta, l’ufficiale guadagnò di buon passo l’uscita.

Sono alti, gli alberi di Pentatomoidea,
i fiori della Madrepatria.
La nostra terra rigogliosa
difenderemo uniti e risoluti.

Mentre si librava in volo sopra la città, ad Acrosternum affiorò alla mente, quasi a coronamento del salto, la prima strofa dell’inno di Pentatomoidea: come a confermare che ora tutto era diverso, che era a casa, che non doveva più tenere un occhio aperto anche quando dormiva; come ad ammonirlo: bentornato nella civiltà, frena i bollenti spiriti; come a mettere in parole e musica la foresta di florab che gli si parava innanzi.
La foresta: quando era partito i rami spogli sostenevano bozzoli nudi, sgombri da foglie e fiori per intercettare ogni raggio di calore a difesa dal gelo incipiente. Sembravano passati giorni, ore quasi. Invece i petali turgidi che racchiudevano la cupola sommitale di ogni palazzo non erano l’unica prova del tempo trascorso. Il tempo trascorso era dietro ai suoi occhi, dove le immagini che impressionano la retina si trasformano in segnali nervosi. Una filigrana impressa su ogni scena, il fulgore delle esplosioni macchiava di luce accecante i fiori rossi avvinghiati al loro cuore di rugiada, prima chiaro e luminoso, ora tinto dal fitto chiaroscuro del campo di battaglia. I rami contorti si tramutavano in arti rattrappiti, i viticci in filo spinato, il polline in fumo d’incendi.
Il maggiore lo sapeva: le sue erano visioni. Uniti e risoluti, i soldati di Pentatomoidea erano tornati, portando in dono alla Madrepatria una colonia in più per rifocillarsi e prosperare. Ma adesso bisognava popolarla, quella colonia, spettri o non spettri, incendi e guerre e cadaveri a parte. Sarebbero diventati concime, meglio così. A ripopolare il pianeta con una specie degna ci avrebbero pensato loro.

Ai piedi del florab di Nezara Viridula la piattaforma d’atterraggio, un fungo spugnoso all’ultimo grido, tanto soffice da attutire completamente l’urto della corazza contro i tessuti molli, richiamava i più vogliosi e allettava gli esitanti con la vezzosa ninfetta raffigurata sulla sua sommità. Divertito dalla licenziosità dell’insegna (perché la posizione della ninfa non si poteva certo dire pudica), in pochi passi il maggiore Acrosternum fu all’ingresso dell’edificio e trovò ad accoglierlo una domestica minuta e insignificante, con una coda sgualcita e brunastra che sapeva solo di cenere di caminetto e di fredde serate d’inverno. – Lady Nezara vi attende in salotto, – mormorò intimorita la piccoletta con un timido inchino prima di fargli strada lungo la passerella che conduceva ai piani alti.
Per nulla turbato dall’accoglienza, ben sapendo che a quell’ora del mattino le pupe dormivano ancora, Acrosternum si guardò attorno: dopo tanti mesi si era quasi disabituato a strutture bioarchitettoniche così slanciate, e mentre percorreva l’elastico ponte sospeso che serpeggiava attorno allo stelo centrale collegando un ramo all’altro, la stanza più in basso a quella più in alto fino alla cima fiorita, posò il suo sguardo estasiato sulle possenti fibre metallizzate che si dipartivano dal troncone centrale per sorreggere i bozzoli di rugiada sintetica. Se il professor Poecilometis Eximius non avesse escogitato il modo di sfruttare le ali di libellula per produrre soffici veli, mi chiedo quale altre diavoleria avrebbero inventato per negarmi un assaggio dello spettacolo che si svolge lì dentro. Quando il maggiore era alto come un soldo di cacio e il suo cazzo un cosino invisibile e inutilizzabile, quelle stoffe sottili erano ancora allo stato sperimentale e lui e i suoi amici andavano a passeggiare sotto le case femminili per scherzare e soddisfarsi gli occhi a piacimento. Allora le spesse fibre intrecciate che si usavano per oscurare i bozzoli si chiudevano soltanto di notte, per dormire.
In fondo alla terza passerella, ad attendere il maggiore c’era Nezara Viridula in persona: sotto l’alta porta del salone, l’imponente matrona sembrava rimpicciolire, e ancora più microscopica apparve di fronte al maggiore Acrosternum e al suo ampio torace che, esaltato dall’esoscheletro metallico, gli conferiva l’aspetto di un automa nerboruto.
Madame si sentì scomparire, soprattutto perché sapeva che, rientrando, il verde smeraldo del suo abito si sarebbe confuso con le foglie della serra assottigliandola ulteriormente, ma la dama sapeva anche che il maggiore non ci avrebbe fatto caso: maturando, la signora aveva imparato a riconoscere al primo sguardo il desiderio ardere negli occhi di un pretendente. E quel desiderio, lo sapeva, non era per lei. – Ah, caro Acrosternum! Mi era giunta voce che sareste rientrato stamane: le notizie arrivate con i primi messaggeri hanno fatto il giro della città. Tuttavia, non contavo certo di rivedervi così presto! Ma venite, accomodatevi: sarete sicuramente venuto per una delle mie belle ninfe, o per più d’una… – aggiunse sorniona, – dopo tutte le fatiche che avete dovuto affrontare, non sarò certo io ritardare i vostri meritati piaceri!
Appena il maggiore si fu accomodato su un’affusolata sedia a vitino di vespa, sostenuta dal robusto pungiglione infilzato nel pavimento, nel salone risuonò il richiamo di Madame e le ninfe accorsero a frotte dal loro nido. Il maggiore notò compiaciuto che, oltre a quelle agghindate con colori sgargianti, con punte di rosa, di ruggine e persino di viola e di blu, per non dire delle code con le crinoline e delle leziose alucce trasparenti lisce e lucenti o, a volte, traforate come volevano gli ultimi dettami della moda, non mancavano le sue preferite, in livrea da scolaretta con semplici pois bianchi sullo sfondo nero a sottolineare la tenera età.
Acrosternum le contemplò voglioso senza far caso agli occhi assonnati, ma quello non era il momento di lanciarsi sulla preda come un rozzo animale. La domestica poggiò sul ripiano iridescente del tavolo in chitina un cesto di bacche e una brocca di idromele e lui decise di pazientare. Ancora qualche breve convenevole con la padrona di casa e poi avrebbe potuto dirsi in congedo. Dopodiché si sarebbe potuto dare alla pazza gioia lasciandosi obnubilare dai feromoni di tutte le femmine che voleva.
– Madame, devo ammettere che dopo tanti mesi di solitudine i conforti del gentil sesso mi allettano non poco. Ma che ne dite di bere prima qualcosa insieme? La vostra compagnia sarebbe per me il più piacevole degli intrattenimenti, e avrei peraltro da chiedervi un favore… o anche solo un consiglio.
Con un rapido gesto Nezara Viridula fece tornare le ninfe ai loro giacigli e si sedette compiaciuta accanto al maggiore allungandosi a raccogliere dal vassoio una coppa sferica perfettamente trasparente: per un po’ di tempo ancora avrebbe potuto continuare ad ammirare le attraenti fattezze di quel bell’esemplare di maschio.
– Ne sarò onorata, maggiore, e sarò lieta di darvi tutto l’aiuto possibile, ma a patto che mi raccontiate per filo e per segno del viaggio e di cosa c’è dall’altro lato del cunicolo. – La dama sorrise trasognata. – Adoro le storie di salti, e questa sarà decisamente la più emozionante che abbia mai sentito raccontare!
– Be’, se è questo che vi aspettate, temo proprio che resterete delusa: il salto in sé è stato un affare davvero monotono…
– Ma come, un viaggio durato mesi, un cunicolo nuovo di zecca…?
– Nuovo di zecca, sì, ma rudimentale come se a crearlo fosse stata una ninfa alle prime armi. Una noia che non vi dico! La corrente d’aria afosa che soffiava incessante era l’unica cosa che si muovesse oltre a noi. Pensate che tutto il tempo che siamo rimasti dentro – e le provviste erano agli sgoccioli quando siamo usciti, quindi immaginate quanto c’è voluto a percorrerlo fino in fondo con il vento contrario! – non mi crederete, ma non abbiamo avvistato nemmeno un colore o un lampo di luce: tutto buio, da un capo all’altro, tanto che i più superstiziosi dubitavano che ci fosse una fine. Tra i soldati si vociferava persino di buchi neri! Non parliamo di quanto tempo c’è voluto a ricondurli alla disciplina. Insomma un lavoro da primitivi, e naturalmente non sto parlando dei primi terrestri che hanno fatto il salto. Loro sono a posto, poveri piccoli, ma la specie che domina il pianeta è ripugnante.
– Ripugnante! Addirittura!
– Signora, se non sapessi che voi avete dimestichezza con la compagnia maschile, se non vi avessi vista di persona conversare amabilmente con alti notabili e diplomatici di rango proprio qui in questo salone, esiterei a scendere nei dettagli: una dama più schizzinosa sicuramente non reggerebbe il colpo. Con l’afa di questi giorni, poi, avrei timore di vedermela svenire innanzi, una femmina siffatta.
A sentire queste parole Nezara Viridula si accorse di essersi tutta accalorata e, raccolto un ventaglio dal pouf peloso a strisce gialle e nere, cominciò a farsi aria con un languido sospiro di sollievo. – Ah, cambiamo argomento: da quando il cunicolo si è aperto di notte non chiudo più occhio, per non parlare del baccano che fanno le cicale!
– E non potete immaginare il caldo che si pativa nel cunicolo! Come se tutto il calore dell’inferno si fosse incanalato lì dentro per riversarsi sul nostro pianeta. Ci vorranno anni prima che si ristabilisca il nostro bel clima mite! Ed è per questo che parlo di esseri ripugnanti: quel cunicolo è stato la loro salvezza – senza una via di sfogo alla loro aria malata, sarebbero stati spacciati nell’arco di una generazione. Le prime analisi lasciano pensare che sia stato questo il motivo che li ha spinti a cimentarsi nella creazione del loro rozzo passaggio.
– Aria malata? Allora il cattivo odore che si sente negli ultimi tempi viene dal loro pianeta? È quindi una malattia, quella che li ha attanagliati, o cos’altro?
– Alcuni potrebbero chiamarla così, in effetti, ma lascerò giudicare a voi, descrivendovi il mondo che trovammo dall’altra parte. Dopo quei lunghi mesi passati tra le ombre a lottare con la corrente avversa, quando i più già temevano il peggio e si vedevano con un piede nella fossa, avvistammo finalmente l’altro nastro, con il suo inconfondibile cerchio di luce vorticante. E dopo la strenua lotta con il vento nauseabondo, lo spettacolo che ci trovammo davanti ci parve un miraggio: un paradiso terrestre, dove tutto quello che potevamo desiderare era a nostra completa disposizione, e non vi dico le delizie… ma quasi dimenticavo! – Acrosternum Hilare estrasse da un incavo della corazza un cestino di bacche arancioni ovoidali e le porse alla padrona di casa. – Nei loro bizzarri vocalizzi, gli indigeni le chiamano con una parola che suona più o meno così: a-prri-cot. E vi garantisco, sono deliziose, basta che stiate attenta al nocciolo. Ne farò consegnare altre per le vostre ninfe stasera stessa.
Lady Viridula protese le unghie verso il frutto e ne saggiò diffidente la polpa, poi si illuminò: – Che delizia! Non sono velenose, vero?
– Se lo fossero, saremmo già tutti morti stecchiti sotto quelle loro buffe piante. Quando ho detto «paradiso terrestre», prima, non scherzavo affatto: in confronto con le loro varietà, le nostre bacche sembrano tutte uguali. E quanti sapori diversi sullo stesso pianeta! Pensate che abbiamo già predisposto ogni cosa per mettere in piedi una prima attività di importazione: quelle delizie sono troppo appetitose per rischiare un’emigrazione di massa non appena il popolo le scoprirà! In un primo momento si tratterà di merci rare, perché quei primitivi le hanno avvelenate in gran parte per chissà quante generazioni, ma di piante sane ce ne sono, e ora che gli indigeni sono sotto controllo si può passare alla seconda fase, quella della purificazione delle colture.
– Hanno avvelenato le piante? Dite sul serio?
– Come non potete neanche immaginare, e a giudicare da tutto il fumo che producevano, anche bruciando cereali che sarebbero stati ottimi da mangiare, si direbbe che il loro metabolismo dipenda in qualche modo dall’anidride carbonica. Ma per giungere a conclusioni attendibili c’è ancora molto lavoro da compiere. Sta di fatto che il loro è uno stile di vita ben strano. Gli scienziati esitano a definirlo gregario come il nostro, perché ogni esemplare se ne sta per conto suo e interagisce con gli altri soltanto in momenti precisi della giornata per poi rinchiudersi nuovamente nella sua celletta, ma comunque queste creature tendono perlopiù a vivere in luoghi densamente popolati, e la cosa singolare, pensate un po’, è che tutti si trovano sempre a debita distanza da quella loro rigogliosa vegetazione! E queste bizzarre comunità erano perennemente avvolte dal fumo, con pochissime piante moribonde e senza frutti. Sfido io che quando siamo arrivati molti di loro soffrivano la fame! Mi chiedo come abbiano fatto a evolversi fino a dominare il pianeta, con tutto il rumore, e l’aria asfissiante, e la loro strana abitudine di mangiare cibi avvelenati e carbonizzati. Vi dico: meno male che siamo intervenuti noi, sennò il rischio era che ci intossicassero attraverso il cunicolo!
– Che prospettiva orrenda! Ma gli esploratori rimasti cosa ci stanno facendo in quel postaccio?
– Oh, adesso non è più un postaccio, Madame: una volta che abbiamo preso il controllo della situazione e che quei ridicoli indigeni hanno capito chi è che comanda, tutto ha iniziato ad andare per il verso giusto. Nei campi e negli allevamenti il lavoro procede a pieno ritmo e, insomma, il paradiso terrestre è salvo. Proprio a questo proposito volevo parlarvi, perché voi sapete quant’è importante il tocco femminile in qualsiasi colonia che si rispetti. Per il momento su quella terra ci sono solo razze indigene e maschi della nostra specie, e questa situazione non può durare a lungo. Perciò sono venuto subito da voi: ho avuto incarico dal generale in persona di recuperare una bella scorta delle ninfe più sane e belle per costituire degli insediamenti stabili sul nuovo pianeta. Ora il vostro palazzo è molto fornito, qui si trova la migliore selezione di pupe che esista sulla faccia del pianeta, e ci chiedevamo se foste interessata a diventare la fornitrice ufficiale della Società dei Commerci Terrestri…
– Oh, maggiore! La vostra considerazione mi lusinga, – la dama si fece quasi rossa per l’emozione, ma subito dopo il rossore tese al bruno assieme al dubbio che affiorava. – Ma non sarà pericoloso mandare le mie piccoline su quel pianeta di bruti?
– Ah, state tranquilla: dei bruti non c’è da preoccuparsi, ormai sono diventati inoffensivi. Li abbiamo trasferiti nelle zone verdi, a occuparsi delle piante, dato che sembrano molto portati per questa attività, e dopo un po’ abbiamo capito che sono l’animale da fatica ideale: abbastanza intelligenti per affidargli mansioni semplici come il lavoro nei campi e sufficientemente delicati da cedere alla fatica prima che le loro carni diventino troppo dure per mangiarle. Un ciclo perfetto, senza nessuna scoria, e non vi dico che delizia! Una carne così tenera, dolce e saporita raramente mi era capitato di assaggiarla. Forse le cavallette sono un buon termine di paragone.
– Oh! Non vedo l’ora di assaggiarla! Sempre che si possa importare, naturalmente…
– Ma certo che si può: non appena ci saremo accertati fino in fondo della sua innocuità e avremo individuato il metodo migliore per conservarla. Esemplari vivi sarà difficile trasportarne: il cunicolo li terrorizza. Dovevate vedere la loro reazione quando ci hanno visto per la prima volta! Non facevano che lanciarci oggetti esplosivi contro, pensavano di poter scalfire i nostri esoscheletri, quegli assurdi mostriciattoli! Sul loro pianeta, a ogni modo, l’unica specie degna di considerazione, nonché la sola capace di effettuare salti spaziotemporali, è quella che è venuta ad annunciarci l’apertura del cunicolo. E pensare che la specie dominante le attribuisce epiteti che tengono conto soltanto delle sue armi di difesa: cimici puzzolenti, puzzolane… quei bruti non riescono a guardare oltre il loro naso, si immagini che cosa succederebbe a tentare di trasportarli vivi da questa parte: stupidi e impulsivi come sono, rischieremmo che l’intero carico salti terrorizzato oltre il muro e si disintegri nel nulla cosmico… ma bando alle elucubrazioni: magari vorrete venire di persona a trovare le pupe che ci invierete. Allora appurerete con i vostri occhi in quale luogo celestiale intendiamo condurle. Inoltre potrete assaggiare le leccornie del pianeta e osservare da vicino i campi, gli allevamenti e tutto il resto. E se poi vorrete provare il gusto del brivido, vi porterò in visita anche in uno di quei tetri agglomerati fumosi.
Nezara Viridula fece una smorfia inorridita: – Ah, no grazie, avrei troppa paura, però quando la corrente sarà cessata una gitarella sul nuovo pianeta la farei volentieri. È sicuro quel cunicolo? Lo avete stabilizzato?
Le infinite obiezioni della dama fecero sorridere il maturo ufficiale. – Sì, certamente, e ora che abbiamo le coordinate del nastro al capo opposto potremo crearne anche uno molto più agevole e accogliente: solo allora comincerà la colonizzazione vera e propria, perché il passaggio attuale è decisamente poco raccomandabile per i civili. E comunque mi meraviglio ancora che quei primitivi siano riusciti a crearlo: come specie sono del tutto incapaci di compiere salti spaziotemporali e nessuno è ancora riuscito a capire quale diavoleria abbiano escogitato per aprire il tunnel. Se sono stati veramente loro a stabilire il collegamento e i nostri scienziati non hanno preso un abbaglio, allora devono averlo fatto per pura disperazione. Se fossi un ricercatore, non escluderei la possibilità che a crearlo siano state quelle simpatiche cimici, per quanto minuscole, ma per ora la tesi del canale di sfogo è in effetti la più accreditata. Io posso anche ammettere che sia verosimile, però in tal caso direi che una cosa è certa: chiunque di quei barbari abbia aperto il cunicolo è stato fortunato a non allacciarsi a un punto qualsiasi dello spazio siderale. Se il collegamento non fosse stato stabilito con un pianeta dotato della stessa atmosfera e della stessa pressione, sarebbero stati risucchiati in un istante nel vuoto assoluto. Ma forse quegli ignoranti non si sono nemmeno resi conto del rischio che correvano e della fortuna sfacciata che hanno avuto a raggiungere l’effetto desiderato. Per non parlare dell’opportunità di essere educati da una specie superiore che ha potuto portare il benessere nel loro mondo. Noi di sicuro un pianeta così remoto non lo avremmo mai trovato per caso.
– Certo che rispetto a loro non siamo stati altrettanto fortunati: se penso a quest’afa insopportabile… – Il giorno avanzava e Lady Viridula, che aveva iniziato ad accusare gli effetti della canicola, si sventagliava ansimante.
– Oh, cara, ma un minimo di sacrificio è indispensabile per sostenere l’onere della missione civilizzatrice: pensate a quelle povere cimici che sono venute per prime sul nostro pianeta, a quei poveri esserini inoffensivi ridotti allo stremo dalle polveri tossiche di un branco di mollicci bipedi mammiferi senza un briciolo di senno!
Senza smettere di farsi aria, Lady Viridula si placò la sete succhiando fino in fondo la polpa di un’altra albicocca, poi dopo un istante di riflessione annuì: – Mi avete convinta: appena il cunicolo nuovo sarà pronto vi farò avere una nidiata di pupe. Nel frattempo volete gradire i servizi della casa?
A un cenno d’assenso soddisfatto e trepidante del maggiore, la dama verde smeraldo chiamò le ninfe a raccolta e l’ufficiale si allontanò assieme a una deliziosa giovane alla prima muta dalla livrea nera ricoperta di puntini bianchi.